La guida completa per investire in Equity Crowdfunding in Italia. Come funziona? Come si guadagna?
Che cos’è l’equity crowdfunding L’equity crowdfunding è il processo con cui più persone (crowd=folla) investono somme di denaro (funding) per […]
In questa intervista a tre, il notaio Fabio Cosenza, il commercialista Eugenio Cesari, l’avvocato Andrea Corbelli, rispettivamente COO, CFO e CCO di Mybestinvest, raccontano cosa sono e come funzionano gli sgravi fiscali per chi sceglie di investire in start up e PMI innovative. Se siete curiosi di approfondire l’argomento, alla fine dell’intervista troverete un interessante e-Book scaricabile gratuitamente!
La detrazione del 50% si riferisce alla somma che la persona fisica investe all’interno di una start up innovativa, che sia nel capitale sociale o nella riserva sovrapprezzo.
Altresì questo meccanismo di detrazione è valido anche nel caso in cui l’investimento non venga effettuato direttamente in una start up, ma in una società che ha come oggetto principale l’investimento in start up innovative.
Non è una novità questa detrazione, in realtà esiste da quando è in essere la norma sulle start up innovative. Tuttavia è stata gradualmente incrementata di anno in anno.
Per sostenere le start up dopo l’emergenza sanitaria dovuta al Covid19, è stato apportato un significativo incremento della detrazione pari al 50%, ad oggi valido fino alla fine dell’anno, e non ancora chiaro in quale misura sarà rinnovato nel corso del 2021.
È sicuramente un incentivo importante sia per le aziende, sia per gli investitori, dal momento che chiunque decida di investire una determinata cifra in una start up innovativa entro il 31/12/2020, avrà la possibilità di detrarre dall’imponibile IRPEF esattamente la metà dell’importo investito, che dovrà a sua volta essere detratto nell’arco dell’intero anno. Ciò significa che la cifra investita verrà monetizzata nuovamente nello stesso anno.
Ipotizziamo per un attimo che l’investimento sia molto consistente e che l’investitore non abbia la capienza per poterlo detrarre tutto nell’anno corrente: in questo caso, la norma prevede la possibilità di detrarre il credito d’imposta negli anni successivi fino, e non oltre, al terzo.
Per dare una risposta scientifica a questa domanda bisognerebbe fare un confronto tra i due casi, ovvero con e senza detrazione, cosa che non è possibile fare.
In base alla mia esperienza, posso dire che è sicuramente un incentivo importante dato non tanto dal fatto che un soggetto senza detrazione non sarebbe disposto a investire in una start up, quanto dal fatto che grazie a questa agevolazione sarebbe più propenso a investire cifre maggiori.
Non si tratta quindi della decisione di investire, ma dell’effetto moltiplicativo che si nasconde dietro questa operazione: supponiamo che io abbia all’attivo 1.000€ all’anno di investimenti nelle start up innovative, in quanto sono interessato al settore; grazie a questa norma tendo a investirne 2.000€, consapevole che 1.000€ li recupererò grazie a questa agevolazione, raddoppiando così i miei investimenti e utilizzando la stessa cifra effettiva.
La ragione sta proprio nel termine “innovativo”. È evidente che il sistema abbia voluto accelerare un percorso che ha visto l’Italia in forte ritardo rispetto agli altri paesi, e non parlo solo di paesi leader come gli Stati Uniti o di paesi in via di sviluppo come gli stati asiatici, ma anche di paesi europei. Basta andare a vedere le statistiche in cui vengono evidenziati gli investimenti dei privati in piccole imprese innovative, in particolar modo tramite equity crowdfunding, e si noterà come l’Italia sia sempre al di sotto di paesi come la Germania e la Francia, per non parlare poi della Gran Bretagna.
In sintesi, la risposta è che il sistema vuole incentivare l’innovazione, e non solo nei settori leader degli scorsi 50 anni. Innovare, infatti, è diventato estremamente costoso: la tecnologia coinvolta è sempre più incentrata su strumenti immateriali, come software e intelligenza artificiale, e le imprese che possono avere un budget tale da potersi permettere realmente questa innovazione sono un numero estremamente ridotto, in Italia poi si possono contare forse sulle dita di una mano.
Da sottolineare, inoltre, che l’innovazione, quella veramente rivoluzionaria, ha a che fare con singole persone, singole idee di singole menti umane, e quindi risulta più facile che arrivi da una piccola start up, piuttosto che da una grande impresa che attua innovazioni sicuramente efficaci, sicuramente graduali, ma più raramente di rottura.
Quindi se vogliamo che le grandi innovazioni possano avere una speranza di essere realizzate, proprio perché spesso vengono da persone, laboratori di ricerca, università, piccole imprese, bisogna necessariamente dar loro un booster di un certo tipo, perché altrimenti nessuno ha la disponibilità finanziaria per poterle concretizzare.
Attualmente questo sistema è molto snello e decisamente rispettato dall’amministrazione finanziaria. Ad oggi, per investire in una PMI o in una start up innovativa ed essere formalmente certo di beneficiare della detrazione occorre fare tre cose.
1. Prima di tutto è necessario andare a verificare che la società sia effettivamente iscritta nella sezione speciale delle start up innovative o comunque abbia la qualifica di PMI innovativa. Per ottenere ciò è necessario fare una visura, ovvero un certificato rilasciato dalla Camera di Commercio, tranquillamente scaricabile online. Chiunque può richiedere questo documento, ma tendenzialmente ci si rivolge direttamente alla società o a un commercialista. In qualità di investitore, questa verifica non impone di andare poi a controllare se questa start up è iscritta nella sezione speciale in maniera lecita o illecita. Infatti, questo tipo di responsabilità, almeno ad oggi, non è a carico dell’investitore.
2. Una volta fatta questa verifica, la persona deve effettuare l’investimento nelle modalità che sono tipicamente tracciabili (bonifico, assegno, etc…) in quanto è bene poter dimostrare di aver conferito ufficialmente le finanze.
3. La società deve rilasciare una certificazione cartacea, in cui comunica che la persona fisica ha conferito una certa somma all’interno del proprio capitale e che questo corrisponde a una soglia inferiore alla norma di legge per il quale sono previste delle detrazioni.
È un tema importante questo e nasce dall’estensione di questi anni dell’ambito anche del Crowdfunding.
Laddove investire in una start up innovativa dà fin da subito la possibilità di recuperare risorse, in una start up ordinaria questo non è possibile. È chiaro quindi che la scelta è già condizionata all’origine. Come possono quindi gli startupper normativi rendersi accattivanti? Devono spostarsi dal piano prettamente economico immediato a due possibili scenari di operatività totalmente diversi.
Il primo è quello della partecipazione all’attività sociale. Le persone non vogliono soltanto investire, ma vogliono anche essere parte del progetto.
Quindi il primo step che le start up o le PMI ordinarie possono compiere è rendere gli investitori partecipi delle proprie scelte. È un lavoro di coinvolgimento: chiaramente, ciò non significa che vi deve essere una proprietà indefinita di soggetti che prendono decisioni. Il meccanismo mantiene i dispositivi classici della maggioranza, della presenza di un organo amministrativo che compie le scelte necessarie in cui, eventualmente, trovano rappresentanza tutti i partecipanti titolari di quote, ovviamente sopra una certa soglia per evitare poi che queste riunioni strategiche diventino un party con migliaia di persone.
Oltre alla leva della partecipazione, se rimaniamo nel contesto economico, c’è un altro strumento, ovvero quello della previsione di una partecipazione degli utili. Laddove il ritorno sia immediato perché non c’è sgravo fiscale, bisogna puntare sulla qualità del progetto e sul ritorno economico futuro di chi investe in quel determinato progetto.
Chi investe lo fa per avere un ritorno economico, soprattutto se non ha un vantaggio fiscale immediato. Bisogna quindi presentare l’idea in modo che possa, in tempo breve, essere onorata in maniera tale da convincere gli investitori.
Prevedere, secondo me, strumenti che possano fare in modo di rendere le quote agli operatori iniziali è sicuramente uno stimolo, soprattutto dove non è presente un incentivo fiscale iniziale. In buona sostanza sono tre, a mio avviso, le strade che possono essere battute dalle società che non hanno un appeal fiscale.
In primis abbiamo visto una possibilità di coinvolgimento nella governance da parte degli investitori, una community che non sia soltanto di supporto finanziario, ma anche di partecipazione delle scelte. In secondo luogo una limitazione del tempo del progetto, tipica però di ambiti ristretti: l’esempio specifico è quello dell’immobiliare. Terza possibilità è quella di una previsione di una uscita a determinati step e con determinati entrate economiche da valutare, da collegare agli andamenti societari in tempi fissati, in modo che la partecipazione da “non liquida” diventi “liquida” e commerciabile.
Nel comparto delle start up e delle PMI innovative ci sono tutta una serie di disposizioni dedicate che sono state introdotte appositamente per questo tipo di società e che sono dirette a una flessibilizzazione della governance, ad una incentivazione e ad una parziale riduzione dei rischi. Non è possibile entrare nel merito di tutte in quanto sono numerose e alcune hanno una natura fortemente legale, tuttavia tra quelle che esistono ad oggi ce ne sono sicuramente tre che, a mio avviso, sono particolarmente significative.
Una di queste ha a che fare con il sistema del credito, cioè con il sistema bancario; esiste, infatti, un ente chiamato Medio Credito Centrale che funge da garante quando la banca finanzia una qualunque impresa. Questo tipo di garante può essere coinvolto in varie tipologie di finanziamenti. Nonostante ci siano tantissimi parametri e varie casistiche, qualora una start up innovativa voglia ricevere un finanziamento da parte di una banca il meccanismo è estremamente snello e peraltro non richiede misure particolari in termine di fatturato e patrimonio netto.
Facendo un esempio pratico: se io ho una start up innovativa che esiste da un anno e ha ricavi pari a 0 e richiedo un finanziamento da parte di una banca di, ipoteticamente, 100.000€, la banca fa la sua valutazione per decidere se concedere o meno il finanziamento; se la banca dà esito positivo, il Medio Credito Centrale concede una garanzia pari all’80% del finanziamento in maniera automatica. Questo ente non fa un’istruttoria, non entra quindi nel merito di valutazione del progetto. Questo meccanismo è valido fino a una soglia massima di finanziamento, e non su qualsiasi cifra.
La seconda disposizione caratteristica delle start up innovativa è riferibile al fatto che tali veicoli societari non sono soggetti alle norme sul fallimento. Il fatto che le start up innovative non siano soggette al fallimento non significa, come credono alcuni, che queste possano agire senza regole e senza rischiare nulla; in realtà, il singolo creditore, che possa essere la banca, un socio, un fornitore, ha un vasto numero di strumenti per cercare di recuperare il proprio credito, in alcuni casi anche per rivalersi direttamente nei confronti dell’amministratore della start up innovativa. In ogni caso, ripeto, non è consigliabile interpretare questa norma come un incoraggiamento a fare qualunque cosa non considerando l’equilibrio finanziario della start up stessa.
Cito in ultimo la norma, peraltro attualmente in corso di modificazione, che riguarda anche altre imprese, ma a mio avviso particolarmente adatta alle start up innovative: detta norma riconosce un credito fiscale a fronte di investimenti in attività di ricerca e sviluppo. Ai fini pratici, per beneficiare di tale disposizione, è per prima cosa necessario nominare un soggetto specializzato in quel tipo di settore che produca una documentazione tecnico/economica, poi incaricare un revisore legale che deve certificare che le spese effettivamente ammontano a quanto previsto all’interno della documentazione tecnica; infine, sulla base dell’importo complessivo annuo degli investimenti in ricerca e sviluppo, viene determinato un credito di imposta che non è monetizzabile mediante rimborso, ma utilizzabile in compensazione con altre imposte.
Sì, esistono altre forme di finanziamento per queste imprese, però la premessa è che hanno una natura fortemente diversa rispetto a quella dell’Equity Crowdfunding. Spiego perché.
Il versamento attraverso Equity Crowdfunding si colloca nei versamenti in capitale di rischio, ovvero nel conferimento di somme a sottoscrizione di quote dell’emittente. A seguito di tale versamento si acquisisce, dunque, la qualità di socio della start up o della PMI innovativa.
Le altre forme di raccolta di capitale si collocano nella raccolta di versamenti qualificabili come capitale di debito. Tra queste forme di raccolta uno strumento innovativo è quello del finanziamento/prestito alle start up e PMI Innovative attraverso il peer to peer lending, ovvero un prestito personale erogato da privati attraverso un portale e, quindi senza passare attraverso i tradizionali canali finanziari e/o bancari. Il prestito viene restituito ratealmente o in più soluzioni con la corresponsione di interessi.
Un’alternativa può essere l’emissione di obbligazioni o strumenti finanziari di debito. Tali strumenti, già noti alle società a responsabilità limitata, possono oggi essere offerti su piattaforme di Equity Crowdfunding e debbono essere sottoscritti da investitori dotati di certi requisiti (professionali).
Infine esiste un terzo strumento ibrido tra capitale di rischio e capitale di debito, costituito dagli strumenti finanziari partecipativi. Tali strumenti sono previsti dall’articolo 26 del DL 18/10/2012, n. 179 e costituiscono un ibrido tra strumenti partecipativi e titoli di debito. I titolari di strumenti finanziari partecipativi possono, difatti, essere dotati di diritti patrimoniali o anche di diritti amministrativi in maniera da attribuire ai titolari certe particolari prerogative economiche e decisionali.
La caratteristica di tali strumenti di finanziamento è, però, che a differenza della raccolta di capitali, da un lato consentono alla società di raccogliere “finanziamenti” con il relativo obbligo di restituirli e, dall’altro lato, chi investe è qualificabile come finanziatore e non come socio.
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