La guida completa per investire in Equity Crowdfunding in Italia. Come funziona? Come si guadagna?
Che cos’è l’equity crowdfunding L’equity crowdfunding è il processo con cui più persone (crowd=folla) investono somme di denaro (funding) per […]
Inutile negarlo, lo scenario è tragico, per certi versi allarmante, alla prova dei fatti semplicemente impressionante.
Le nostre sicurezze, le nostre convinzioni, i nostri obiettivi, in un attimo solo spazzati via senza alcuna rassicurazione sul fatto che mai torneranno come prima e con la condivisa certezza che quando lo faranno, una parte di questo mondo sarà inevitabilmente e per sempre mutato.
Tutto ciò ha un nome e glielo ho dato Nassim Nicholas Taleb, saggista e docente universitario al Polytechnic Institute di New York quando, nell’ormai lontano 2007, scrisse l’omonimo libro dal nome “The Black Swan”: il Cigno Nero.
Il Cigno Nero (si, esistono pochi e rarissimi cigni di colore nero) è un testo che tratta di improbabilità, nella teoretica e quanto mai attuale convinzione che i pochi eventi realmente improbabili che hanno caratterizzato la storia dell’uomo sono quelli che hanno prodotto i cambiamenti di maggiore impatto nella vita di tutti, un po’ perché rari, un po’ perché troppo spesso inattesi.
Sulla base di questa convinzione, oggi per molti una consapevolezza, Taleb è ossessionato dallo studio degli eventi improbabili, molto più che da quelli probabili e giunge a criticare profondamente la pericolosa abitudine di imparare dall’esperienza e dall’abitudine, proprio perché nell’esperienza e nell’abitudine si trovano solo eventi ripetitivi, che nulla possono verso gli accadimenti imponderabili e privi di regolarità nel tempo.
Poi c’è un altro tema interessante che viene fortemente criticato dall’autore: i frequenti errori commessi nei processi di cosiddetta induzione logica. Quella irresistibile abitudine umana di trovare nessi logici – poi trasformati in “regole per il futuro” – tra eventi che sono tra loro solo temporalmente consequenziali, per quanto in realtà indipendenti.
E allora ecco che dilagano spaventosi previsioni sul fallimento dell’Italia, la crisi dell’Europa e, perché no, la fine del mondo. È tutto molto logico: l’economia si ferma, il sistema va in crisi, gli Stati falliscono (questa, in sintesi, la teoria che sembra andare oggi per la maggiore).
In questo spaventoso quadro, molti sembrano però dimenticare che l’evento accaduto – o che sta accadendo, per meglio dire – risulta totalmente nuovo alla storia dell’umanità, non tanto per il concetto specifico di pandemia (se ne contano, in realtà, almeno 3 nel secolo scorso), quanto per come è stato affrontato dai Paesi di quasi tutto il mondo: il lockdown totale.
Vogliamo allora immaginare uno scenario diverso, ove ci dimentichiamo delle ovvietà e dei nessi logici poco fondati e dove ci ricordiamo chi siamo, da dove veniamo e dove vogliamo andare: un popolo di persone da sempre in grado di adeguarsi ai cambiamenti, di trovare soluzioni brillanti proprio nei momenti più difficili e drammatici.
In pochissime parole: un popolo in grado di innovare.
Fin qui tutto drammatico. Ma la verità è che da quando tutto è iniziato, non faccio altro che sentire persone che mi parlano delle opportunità che potranno nascere da questa atroce e totalmente inaspettata situazione.
Persone che costantemente si interrogano su come potrà modificarsi il loro mondo, il loro settore di attività; intere comunità di imprenditori illuminati che, trovatisi nel venir meno delle loro storiche sicurezze, hanno la forza – forse perché non hanno scelta – di dimenticarsi delle loro convinzioni e di pensare a ciò che verrà ed a come affrontarlo.
Questa è la prima buona notizia. Si perché, in pochi lo sanno ma è proprio così: per innovare bisogna “disimparare”. E disimparare significa prima di tutto dimenticarsi dei dogmi, schivare le profezie autorealizzanti e abbandonare la pigrizia che, troppo spesso, ci mette nella condizione di pensare che tutto resti sempre com’è, che sia già scritto e che ognuno di noi non abbia il potere singolarmente di influenzare l’andamento della nostra vita e delle vite altrui.
Poi, credo vi sia una seconda buona notizia.
L’innovazione vera, quella in grado fronteggiare una pandemia, quella che – con l’impegno di tutti – ci porterà a immaginare prima e a realizzare dopo, un futuro diverso da quello che tentano di venderci a tutti i costi, quel tipo di innovazione che in tanti definiscono disgregante (“disruptive”) è tipica e propria delle singole menti umane o, al più, dei piccoli gruppi di persone.
Ecco allora che la chiave del futuro non si troverà nelle mani delle grandi organizzazioni mondiali, dei colossi tecnologici o delle congregazioni politiche – esseri stanchi, lenti, costosi, sempre e comunque in grado di colpire il grande pubblico, ma mai e poi mai realmente in grado di spiazzarlo: mai capaci di vincere il cigno nero, di anticiparlo, di generarlo.
Il futuro del nostro paese e, forse, dell’umanità nella sua interezza, sarà invece nelle mani delle singole persone e della loro capacità di innovare, di immaginare un’alternativa al passato, di rendere logico tutto ciò che sino a un momento prima sembrava illogico ed irrealizzabile: il futuro è degli innovatori o, per citare Eleanor Roosevelt, di coloro che avranno il coraggio di credere nei propri sogni.
Un futuro, dunque, c’è e ci sarà per tutti e certamente non lo troverete nei numeri, nelle statistiche o nella ripetitività di una storia che è già vecchia prima ancora di avere finito di raccontarla.
Credere nell’ecosistema delle imprese innovative, combattere quotidianamente per sostenere questa causa, farsi parte attiva di un modo nuovo di pensare, che rispetta il passato ma che vuole guardare avanti: questo sì, potete scommetterci, ci salverà.
Eugenio Cesari
CFO Mybestinvest